Biogas: Cervignano (Lodi) cronaca di un disastro ambientale

(12.09.13) La testimonianza di quello che è accaduto a Cervignano (Lodi) dove uno il liquame da biogas, causa cedimento della parete di un vascone ha provocato gravi danni ai terreni vicini e, attraverso le rogge , è arrivato sino al fiume Adda

Fonte: ruralpini.it

In Lombardia con la qualità dell’aria peggiore d’Europa, con un densissimo reticolo idrografico, con gravi problemi di inquinamento delle falde la politica, legata a potenti lobby industriali e finanziarie, spinge l’accelleratore del biogas. Ci sono già 400 centra

li (140 solo a Cremona) ma con i soldi del prossimo piano “rurale” (sic) la Regione Lombardia vuole finanziare ancora la corsa al biogas. Un affare irresistibile per chi riesce a specularci sopra.

L’incidente verificatosi il 2 settembre a Cervignano è forse il più grave, a carico di centrali a biogas, mai verificatosi in Lombardia. Il 5 giugno si era rotto un serbatoio da mille mc di una biogas di Lonato (Bs). Il liquame era finito nel Benaco causando morie di pesce e il divieto di balneazione sulle spiagge. Questa volta il volume sversato è stato superiore: almeno la metà del contenuto di una vasca da 3 mila mc.

L’allarme era scattato alle cinque  mattina, quando uno dei biogassisti titolari della cascina Zodegatto di Cervignano d’Adda ha controllato sul computer il regolare funzionamento dell’impianto e ha constatato un’anomalia: mezz’ora prima una delle pareti di cemento armato alte sei metri e lunghe settanta che proteggono il vascone doppio in cui si raccoglie il digestato saveva subito un gravissimo cedimento strutturale. Come si vede dalla foto inviata dal costituendo Comitato No Biogas di Cervignano alcuni elementi della parete della vasca si sono spezzati e ribaltati. Dall’ampio varco il digestato è dilagato su un campo di un agricoltore confinante che ha prontamente sporto denuncia contro i biogassisti.

La massa quasi nera, prodotta dalla fermentazione di reflui suini e bovini miscelati a mais  è finita anche nelle rogge Guazzona e Rigoletta. Il digestato è così arrivato fino all’Adda e le acque del fiume si sono tinte di nero fino al comune di Lodi e ancora più a valle; sono state segnalate morie di pesce. Indagano l’Arpa e polizia provinciale. Questo emblematico episodio è avvenuto nel giorno che Fava, l’assessore leghista all’agricoltura, prono alle lobby e subito incensato da Confagfricoltura Lombardia, annunciava: “avanti biogas a dispetto degli allarmismi”

Sono già 400 gli impianti a biogas nella pianura lombarda (ma saranno 500 nel 2014 se i comitati non riescono a bloccare le nuove richieste di autorizzazione). Essi non solo producono emissioni di NOx come 10 milioni di auto euro 5 ma sono una bomba ecologica caricata contro il denso reticolo idrografico (vedi immagine sotto con la localizzazione di Cervignano) e contro gli acquiferi da cui dipendiamo per bere.

A quando un’inchiesta sul biogas e sulle sue devastanti conseguenze? La politica lombarda si sta dimostrando irresponsabile maggiordomo di potenti lobby a dispetto dei proclami di una Lega che aveva ottenuto il consenso vent’anni fa sulla base di promesse di difesa del territorio e dei ceti popolari dagli interessi forti. A Fava e a Maroni sarebbe bello ricordare i punti 10 e 11 del programma originario della Lega Lombarda

10. Contro la devastazione e la svendita del nostro territorio, plasmato e difeso dalle generazioni precedenti, patrimonio che abbiamo il dovere di trasmettere integro alle prossime generazioni;

11.Contro la mentalità opportunistica dei partiti romani, contro la conseguente degradazione della Lombardia.

La Lega ha imparato benissimo (anche prima della Lega.2 di Maroni) la “mentalità opportunistica” dei partiti romani

Fava, incapace di prendere le difese dell’agricoltura vera contro la potentissima lobby del biogas dice: “La diffusione del biogas in Lombardia impone una riflessione equilibrata, senza scadere in allarmismi che pot

rebbero troppo facilmente suggestionare l’opinione pubblica”.

In ogni caso dopo la “matura riflessione” l’assessore annunciava trionfante che “nel prossimo Piano di sviluppo rurale 2014-2020, verrà incentivata la crescita delle agro-energie, nella misura in cui apporteranno benefici sostenibili per il sistema primario”. 
Quali benefici porta all’agricoltura Fava lo sa benissimo, sa che li porta solo alle industrie, ai progettisti, ai consulenti, al sottobosco, ai troppi che ci speculano, ai dipendenti pubblici troppo zelanti nel perorare la causa del biogas per pensare che non abbiano un ritorno.

E poi vi sono i tanti “gatti e la volpe” che battono quelle che erano le campagne lombarde, e ora sono lande desolate di monocoltura maidicola intristita dalla siccità e da, con rare alberi e un suolo degradato con meno dell’1% di sostenza organica che la trasformazione della sostanza organica di liquami e residui colturali in metano. I gatti e le volpi convincono anche agricoltori non particolarmente inclini alle speculazioni a buttarsi nel biogas. Alcuni vanno incontro a grossi problemi (la reperibilità delle biomasse non è così scontata), altri si calano così bene nella parte dello speculatore energetico da trascurare la gestione delle stalle (che senza costanti attenzioni “sbandano” e declinano). Altro che “sostegno all’agricoltura”. O si utilizzano fondi agricoli per finanziare gli speculatori o si trasforma gli agricoltori in percettori di rendite distogliendo energie imprenditoriali.

Arrivato nelle stanze di Palazzo Lombardia anche Fava, che pure aveva dato prova di una certa indipendenza dalla burocrazia e dalle lobby (e che aveva anche detto che gli incentivi al biogas sono “insostenibili”), dopo pochi mesi si è lasciato inviluppare nella ragnatela degli interessi forti che ruotano intorno al biogas.

Nella lontananza della politica dal bene comune sta ai cittadini e agli stessi agricoltori organizzarsi per impedire: “la svendita del nostro territorio, plasmato e difeso dalle generazioni precedenti, patrimonio che abbiamo il dovere di trasmettere integro alle prossime generazioni”.

Postato il 12/09/2013 da

Rifiuti: il sindaco di Ostra sulla riconversione dell’impianto di Corinaldo, ‘Costi ingiustificabili’

Fonte: viveresenigallia.it

In un momento storico, come quello che stiamo vivendo, dominato dalla grave crisi economica che ci attanaglia, gli amministratori locali debbono prestare massima attenzione alle spese sostenute dai Comuni, per evitare di non vessare inutilmente i cittadini.

Oggi più che mai chi governa un Ente deve gestire con grande oculatezza, centellinando le risorse disponibili, il bilancio, evitando così gli sprechi. In realtà, ho la netta sensazione che non tutti abbiano questa coscienza, e che, specie nelle decisioni che coinvolgono varie istituzioni, si possa correre il rischio di dissipare risorse vitali per i nostri centri. Un caso emblematico in tal senso, che ci sta occupando in questi giorni, è quello dei rifiuti e degli impianti pubblici di trasformazione.

Senza tediare il lettore, con dati normativi, ricordo che la Comunità Europea ha stabilito, con la direttiva nr. 1999/31/CE, che rifiuti indifferenziati (vale a dire quelli che quotidianamente mettiamo nei nostri contenitori grigi) possono essere conferiti in discarica solo dopo un trattamento di tipo, fisico o chimico o termico o biologico o di cernita. Questa norma è stata recepita dal nostro paese già nel 2003 (D.lgs 36/2003), allorquando lo Stato ha concesso agli Enti territoriali un termine di dieci anni (fino a dicembre 2013) per conformarsi alla normativa in questione ed individuare sul proprio territorio questi impianti di trattamento, prevedendo in caso di mancato rispetto del termine una serie di sanzioni che ovviamente ricadranno sui cittadini.

La Provincia di Ancona, nel 2011 ha emanato un atto di indirizzo che ha individuato due siti di trasformazione, che come si legge testualmente dall’atto sono: l’ “impianto per il trattamento della frazione organica a Corinaldo per tutto l’ATO (già attivo e da implementare attraverso fondi FAS)” e l’ “impianto per il trattamento della frazione residuale non riciclabile e di quella da raccolta differenziata da valorizzare, con linea per recupero, a Maiolati Spontini (già approvato il progetto per l’impianto relativo alla frazione residuale non riciclabile)”. E’ sufficiente fare una piccola ricerca in internet e scoprire che l’impianto di trattamento dell’organico di Corinaldo è stato inaugurato (con grande risalto sui giornali e con dichiarazioni trionfalistiche dei politici locali di turno “Vedi Video sotto”) nell’ottobre 2008 dall’allora Presidente, oggi Commissario della Provincia di Ancona, Patrizia Casagrande ed è entrato in funzione nel 2009.

L’impianto è di proprietà della CIR 33 servizi srl, una società a completo capitale pubblico di cui sono soci tutti i Comuni della Valle del Misa e dell’Esino ed è costato € 8.529.530,09, denaro pubblico (fondi statali, regionali, provinciali e dei singoli comuni) dei cittadini. Nel frattempo sono stati spesi soldi pubblici anche per l’impianto di Maiolati Spontini: è stata acquisita da quel Comune un’area al costo di € 400.000,00 e sono stati spesi € 100.000,00 per il progetto preliminare del nuovo impianto. Sembrava che tutto procedesse per il verso tracciato, ma ad un tratto, nel mese di giugno scorso, il Commissario della Provincia di Ancona, Patrizia Casagrande, ha convocato tutti i Sindaci della Provincia e ha proposto di cambiare la strategia assunta.

Nei documenti che ci sono stati illustrati, dallo stesso Direttore dell’impianto di Corinaldo, ing. Bartolacci (che solo alcuni mesi prima aveva rilasciato interviste a televisioni locali attestando l’efficienza della struttura), veniva affermato che quello di Corinaldo presenta “difficoltà gestionali dovute ad una tecnologia obsoleta di stabilizzazione aerobica della sostanza organica”. La sorpresa, almeno in chi scrive ed altri colleghi Sindaci, fu enorme: come si può definire obsoleto un impianto costato oltre 8 milioni di euro alla collettività ed inaugurato appena quattro anni fa?

Il direttore corresse il tiro, e come spesso capita, quando si hanno poche argomentazioni, si rifugiò in un termine inglese, affermando che l’impianto aveva bisogno di un semplice rewamping, che lo convertisse da impianto di trasformazione dell’umido ad impianto di trasformazione del secco. In realtà il rewamping non è mai un intervento semplice, è un termine usato nel linguaggio ferroviario che implica un’operazione radicale e molto costosa dei mezzi, non spesso utilizzata, perché rispetto ad essa è più conveniente l’acquisto di una nuova struttura.

Così è anche nel nostro caso: il progetto di rewamping dell’impianto di Corinaldo costa (senza imprevisti) alla collettività ulteriori 5.250.000,00 euro, cui vanno ovviamente aggiunti gli otto e mezzo già spesi per la sua realizzazione, appena quattro anni fa In sintesi, l’opera così riconvertita costerebbe alla collettività quasi 14 milioni di euro! A questi dovremmo, poi, aggiungere l’ulteriore mezzo milione di euro, speso per il progetto dell’impianto di trasformazione del secco di Maiolati Spontini, che si intende abbandonare. In sintesi anziché due impianti (uno per l’organico ed uno per l’indifferenziato) avremmo un solo impianto per l’indifferenziato, con un costo di oltre 14 milioni di euro di denaro pubblico, e la necessità di dover affrontare ulteriori ed onerosi costi per il trattamento dell’organico dato che l’impianto di Corinaldo non li tratterà più!

Ma le perplessità non finiscono qui: la direttiva europea, recepita dall’Italia con il D.lgs 36/2003, impone la progressiva riduzione della raccolta di indifferenziato a favore della raccolta differenziata entro il 2018, per questo è giocoforza ritenere che il nuovo impianto di Corinaldo, tra appena quattro anni (vale a dire, se va bene, dopo circa tre anni in cui sarà a regime) risulterà sovradimensionato e dovrà subire un nuovo rewamping, per tornare (come candidamente è stato ribadito dai tecnici in quella riunione) ad essere un impianto di trasformazione dell’organico, con una ulteriore costosa spesa!

Questa proposta, per fortuna della collettività, è stata bocciata nell’assemblea dell’ATA, tenutasi a Monsano il 19 luglio scorso, con il voto contrario dei Comuni di Ancona, Falconara, Jesi, S. Maria Nuova, Sirolo ed ovviamente, il mio per il Comune di Ostra. La decisione ha creato grande disappunto, come si legge dai verbali dell’assemblea, del Commissario della Provincia di Ancona, Patrizia Casagrande e di alcuni esponenti locali, quali il vicesindaco di Senigallia Maurizio Memè.

Nel mio territorio, avevo fatto in tempo a promuovere un paio di incontri sul tema, per rendere edotta la cittadinanza del problema, ma a seguito della bocciatura del progetto avevo ritenuto che il non ve ne fosse più bisogno visto che lo ritenevo definitivamente abbandonato. Ma mi sbagliavo: un paio di giorni fa mi è giunta la convocazione per domani pomeriggio 9 settembre, dell’Assemblea Territoriale d’Ambito l’organismo, di recente composizione, cui compete la pianificazione e gestione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani.

Con grande sorpresa ho letto che uno dei punti in discussione è quello già votato nella scorsa riunione descritto in modo laconico con l’espressione “valutazione delle diverse soluzioni impiantistiche”, ed ho riscontrato che non è stata ad oggi inviata alcuna ulteriore documentazione che possa giustificare il riesame dell’argomento. Tale circostanza assieme al fatto che la vicenda continui ad essere trattata senza che nulli trapeli fuori dall’ambito istituzionale, mi fa temere che domani potremmo avere sorprese e si verificherà un colpo di mano.

Mi auguro che prima di assumere una simile decisione tutte le comunità interessate possano valutare la vicenda, e soprattutto si possano approfondire i costi dell’operazione, proprio per evitare una costosa operazione il cui onere ricadrà, come sempre, sulle tasche dei cittadini, e dichiaro pubblicamente, come farò domani sera, che, nel caso in cui ci fossero delle forzature, intraprenderò tutti i provvedimenti conseguenti.

da Massimo Olivetti
sindaco di Ostra